I giovani europei si confrontano quotidianamente con condizioni sempre più difficili: dal complicato accesso al mondo del lavoro alle aspettative dei genitori, fino al paradosso di internet e dei social media, che connettono e separano allo stesso tempo.
Un maggior numero di giovani manifesta sintomi di disagio mentale, come stress elevato, ansia, depressione, dipendenze. rendendo più difficile costruire il proprio piano di vita e trovare un posto nel mondo.
Per questo, l'Unione europea ha promosso nel 2018 una nuova Strategia sul tema. Uno degli obiettivi individuati riguarda proprio “Salute e benessere mentale”, finalizzato alla promozione dell’inclusione sociale di tutti i giovani, migliorandone il benessere psichico ed eliminando la stigmatizzazione nei loro confronti.
Tale progetto si inserisce in questa cornice investendo sulla formazione e sul riconoscimento delle competenze degli Youth Worker che hanno il compito di guidare e sostenere i giovani nel loro sviluppo personale, sociale ed educativo aiutandoli a raggiungere ed esprimere il loro pieno potenziale nella società. Gli Youth worker apprendendo una serie di di competenze che vanno dall'intelligenza emotiva all'auto-consapevolezza, fino alla gestione del tempo e a sostenere la pressione che arriva dall'esterno, giocano un ruolo chiave, con gli insegnanti e altri professionisti, nel fornire ai giovani una formazione sui problemi di salute mentale e sulla costruzione dell'emotività e nell'affrontare la salute mentale.
Disturbi mentali gravi che possono compromettere la capacità genitoriale. Nelle ricerche condotte i figli riferiscono frequentemente esperienze di trascuratezza e abuso, sentimenti di paura o pericolo a causa dei sintomi psichiatrici dei loro genitori di cui sono “costretti” a diventare caregiver.
I dati e le ricerche su questa condizione sono frammentati e troppo spesso lacunosi, ma restituiscono un quadro drammatico. Nel 2004 (Nicholson et al.) riportava che il 67% delle donne e il 75% degli uomini che vivono condizioni di serio disagio psichico (tra cui schizofrenia, disturbi bipolari, depressione grave) sono genitori.
Inoltre, l’interazione fra genetica e ambiente in combinazione con un’elevata esposizione a stress emotivo rappresenta un fattore di rischio per i figli (sia minori che adulti) di sviluppare problemi psichiatrici in futuro.
Da qui la necessità di sensibilizzare e informare la società civile sulla tematica e la messa a fuoco di strumenti concreti di sostegno ai figli di genitori con disagio psichico. Il progetto ha lavorato quindi, grazie alla collaborazione di partner provenienti da diversi paesi (Belgio, Grecia, Italia e Turchia) alla condivisione di buone pratiche sulle strategie di advocacy e alla promozione di un cambiamento nelle policy a livello nazionale e dell’UE. I principali destinatari delle azioni di informazione e sensibilizzazione, oltre ai professionisti della salute mentale, sono stati proprio i caregiver familiari: per orientarli ai servizi di supporto dei servizi di salute mentale e per promuovere scambio di esperienze e di mutuo-aiuto.
Il progetto poneva le sue basi sulla convinzione che una società più accogliente e inclusiva risponde, con maggiore efficacia, alle molteplici criticità derivanti dal disagio psichico. Il lavoro, in questo senso rappresenta un tassello fondamentale nella vita di ciascuno e una tappa essenziale verso la costruzione di una vita autonoma e più appagante.
Le persone coinvolte, nei due anni di vita del progetto, sono state inserite in percorsi modulari che prevedevano diverse azioni tra cui: orientamento e valutazione delle competenze; interventi di empowerment, autopromozione, inclusione sociale; accompagnamento, tutoraggio ed esplorazione delle opportunità formative e lavorative; sostegno psicologico; sostegno e consulenza familiare.
Per ogni persona presa in carico è stato elaborato un progetto individuale partendo dalle competenze e risorse di ciascuno. Il confronto e il dialogo all’interno di laboratori professionalizzanti ed espressivi è stato uno degli elementi di forza del progetto.
Oltre il 60% dei partecipanti hanno partecipato a tirocini formativi, che in alcuni casi sono stati trasformati in veri e propri contratti di assunzione.
Dall’esperienza del progetto “Mettersi in moto” sono nate nel tempo diverse iniziative sull’inclusione lavorativa, anche grazie alle azioni di informazione e sensibilizzazione al mondo pubblico e privato sul disagio psichico.
Scarica la Locandina del Progetto.
Il Progetto è riconosciuto a livello europeo nell’ambito del programma Erasmus+, attraverso il quale la Commissione Europea vuole incentivare il lavoro congiunto tra partner di diversi paesi, per costruire un percorso integrato verso una qualità di vita che faciliti il benessere e l’inclusione sociale, contro lo stigma e l’emarginazione.
Un programma strategico per la Comunità europea, se si pensa che i disturbi mentali colpiscono annualmente circa il 27% (83m.) di cittadini europei (European Social Work, 2013).
HERO - condividendo il know-how di diversi Paesi dell’Unione relativo all’inclusione sociale delle persone con grave disagio psichico, i metodi formativi e la prassi consolidata nel settore dell’housing - si propone di studiare, ciò che rende “terapeutico” un luogo o che lo rende fonte di benessere, non solo per gli utenti, ma anche per i loro familiari, gli operatori, i cittadini. Luoghi che devono essere interconnessi, permeabili, abitabili e modificabili. Dove ciascuno possa sentirsi accolto in quanto persona, non connotato né stigmatizzato. Dove ciascuno possa riconoscere che la salute mentale (e non solo) è un patrimonio che riguarda tutti e si raggiunge se tutti ne sono coinvolti.
Per housing si intende un processo che favorisce il passaggio dalla relazione di aiuto all’inclusione sociale. Numerosi studi hanno mostrato come i servizi “community-based” ottengano risultati migliori in termini di conformità al trattamento, sintomatologia clinica, qualità della vita, stabilità dell’abitare e riabilitazione, rispetto ad altri modelli di cura (Braun P. et al.1981; Conway M. et al.1994; Bond et al.2001). Allo stesso tempo, l’housing così inteso è connesso alla salvaguardia dei diritti (cittadinanza, riduzione dello stigma, etc.), alla razionalizzazione della spesa pubblica (offrendo un’alternativa ai costi di un eccessivo ricorso all’istituzionalizzazione) e allo sviluppo di una cittadinanza attiva e competente.
Il progetto "Star bene a scuola s'impara" è un percorso di peer education che si svolge in due scuole superiori a Roma nel corso di tre anni. L'obiettivo del progetto è promuovere il benessere e prevenire il bullismo attraverso un approccio tra pari, dove gli studenti vengono formati come consulenti tra pari (peer counselors) per sostenere i propri compagni.
La prima fase del progetto coinvolge l'intero corpo studentesco e ha l’obiettivo di renderlo coeso e valorizzarlo come risorsa e fattore di protezione. Attraverso l’intervento e la guida dell’equipe psicologica le classi hanno lavorato sulla creazione di un senso di appartenenza, collaborazione, cooperazione e integrazione tra pari. Questo lavoro ha permesso la creazione di un clima positivo e di benessere, per limitare l’emarginazione o l’isolamento, fenomeni che possono provocare, oltre al malessere individuale con il conseguente scarso rendimento scolastico e possibili abbandoni scolastici, l’insorgenza del fenomeno del bullismo.
La seconda fase prevede l’identificazione, all’interno delle varie classi, di studenti motivati per diventare consulenti tra pari e fornisce loro una formazione per il potenziamento delle risorse personali, lo sviluppo dell’autoefficacia e delle competenze (empowerment) individuate insieme, comprese e condivise (life skills).Ne è seguito un lavoro di monitoraggio, sostegno e supervisione dei peer counselors.
La terza fase mira a consolidare il lavoro svolto e a sviluppare ulteriormente la funzione dei consulenti tra pari, integrandola in un programma educativo basato sulla promozione del benessere a scuola. I consulenti tra pari diventano educatori tra pari ed entrano in classe per sensibilizzare i loro compagni sui temi appresi.
Il progetto, rivolto principalmente a persone over 40 residenti nella città di Roma che hanno perso il loro lavoro, ha introdotto azioni che sono state riprese negli anni in varie sedi, sia a livello nazionale che nella Comunità Europea.
Fornire un sostegno di carattere emotivo e psicologico, intervenire sul recupero e la valorizzazione di professionalità e competenze, attivare reti e risorse per il reingresso nel mercato del lavoro assi portanti del progetto sono a tutt’oggi interventi strategici per l’inclusione lavorativa di persone con fragilità.
Un tema purtroppo sempre attuale se si pensa che il tasso di disoccupazione oggi in Italia (15-64 anni) è al 7,6%, quello di inattività – relativo alle persone che hanno smesso di cercare lavoro – è il 33,5%; questi dati relativi alle donne sono rispettivamente 8,7% e 42,7%. Se osserviamo la situazione solo nel Mezzogiorno i dati sono tutti peggiori: disoccupazione 13,9%, inattività 44,2%, femminile 16,1%, giovanile 35% (Istat, giugno 2023).
Tra gli strumenti sperimentati con successo dal progetto, per contrastare lo stato di povertà e disoccupazione si segnalano: gli incontri di orientamento e riattivazione relazionale; il servizio di accoglienza, supporto e coaching; l’erogazione di una “Borsa” di sostegno al reddito. Percorsi individuali che, affiancati al lavoro di gruppo, hanno accompagnato lo sviluppo di competenze e capacità di carattere imprenditoriale dei partecipanti e concorso attivamente al recupero di un equilibrio psicologico e alla prevenzione di forme di grave disagio psichico.
Tutte le azioni messe in campo rappresentano ad oggi buone pratiche replicabili con il loro modello di intervento.