Il 27 maggio si è tenuto a Varsavia il convegno "Come garantire e promuovere la salute mentale durante la guerra: valutare e rispondere all'impatto del trauma attraverso lo sviluppo del bambino e dell'adolescenza", organizzato da Telefono Azzurro e Fondazione Child, in collaborazione con World Psychiatric Association per discutere della guerra in Ucraina e dei bambini e adolescenti vittime di questa crisi.
A seguito dell'incontro è stata redatta la 'Dichiarazione di Varsavia', un appello all'azione globale, nonché un impegno a sviluppare un piano d'azione congiunto per affrontare in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo con la guerra, i bisogni di salute mentale dei bambini, degli adolescenti e delle loro famiglie.
"I disturbi della salute mentale sono tra le patologie più comuni che colpiscono i giovani - sottolinea il documento - Circa la metà della popolazione mondiale soffrirà di un disturbo mentale a un certo punto della sua vita, con il 75% di questi disturbi che iniziano prima della fine dell'adolescenza e il 50% prima della fine dell'infanzia. La situazione è peggiorata nell'era Covid: almeno il 20% dei giovani ha disturbi dell'umore o d'ansia, per non parlare di altre condizioni. Le visite al pronto soccorso per problemi di salute mentale sono aumentate del 25% o ancora più in alcune comunità, con un drammatico incremento dei tentativi di suicidio e delle overdose.
Otto i punti inseriti nella dichiarazione su salute mentale, guerra e altre crisi:
"Noi, un gruppo di professionisti, funzionari governativi e cittadini preoccupati, ci siamo riuniti a Varsavia per riconoscere e affrontare una crisi di profonda ampia in termini di dolore e sofferenza. La crisi più recente è la violenza su larga scala in Ucraina, che ha generato una vera e propria nuova crisi umanitaria in termini di rifugiati - si legge nella premessa del document o- Questo segue la devastazione associata alla pandemia Covid, e al tempo stesso le migrazioni di massa dovute alla povertà e alla violenza in Africa, Asia, Medio Oriente e nelle Americhe. Con decine di milioni di persone in pericolo, si tratta di una crisi globale che non stenta a terminare".
I bambini, "la categoria più vulnerabile della nostra comunità mondiale - continua il documento - stanno soffrendo il peso maggiore di queste crisi internazionali, con un impatto devastante sulla loro salute mentale. È stato detto che 'i bambini sono un terzo della popolazione mondiale e tutto il nostro futuro'. Il futuro del mondo è in pericolo. Anche se non saremo in grado di porre fine a tutte le violenze, alla povertà, alle pandemie e allo sfruttamento, possiamo cambiare il futuro con piani e politiche di ampio respiro, seguiti da azioni per prenderci cura dei nostri bambini nel momento del bisogno".
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Il 90,8% degli italiani, anche chi non pratica esercizio fisico, ritiene lo sport fondamentale per la salute fisica e mentale e 8 su 10 sono convinti che sia uno strumento di prevenzione efficace contro le malattie. Quasi il 79% vorrebbe fare più attività fisica di quella che riesce a praticare in realtà e molti dichiarano di fare più esercizio fisico rispetto al passato.
Emerge da una ricerca condotta da Human Highway per Assosalute, Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica, presentata in occasione dell'evento "Salute e movimento: dalla prevenzione ai rimedi per i piccoli disturbi" con la partecipazione di Michelangelo Giampietro, Specialista in Medicina dello Sport e in Scienze dell'Alimentazione.
Negli ultimi 10 anni è aumentata costantemente la quota di coloro che praticano attività sportiva: dal 59,3% del 2012, al
64,2% del 2017 fino al 69,2% del 2022. Se il lockdown è stato un momento di svolta che, da un lato, ha accresciuto questa consapevolezza, dall'altro ha rappresentato uno stop forzato che vede oggi il 42% degli sportivi occasionali faticare a riprendere i ritmi pre-pandemia. Complici anche i ritmi lavorativi, che secondo 6 italiani su 10 impediscono di muoversi di più di quanto si riesca, nonostante vi sia l'intenzione.
Nel rapporto tra sport e salute fisica e mentale si deve dunque migliorare. Resta infatti alta la quota di coloro che non fanno pratica, maggiore per le donne rispetto agli uomini (38,2% contro 23,5%) e per le persone di mezza età (40,7% tra i 45 e i 54 anni, 37,5% per gli over 55) e gli over 65 (54,8%).
I principali inibitori sono scarsa pazienza/costanza, pigrizia e mancanza di tempo libero.
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Italia "tra gli ultimi in Europa" per la salute mentale. Nonostante un aumento stimato del 30% di diagnosi tra depressione e altre patologie psichiche causato da due anni di pandemia, soprattutto tra giovani e studenti, sono indicati "zero investimenti" nell'ambito del PNRR mentre al 2025, in due anni, mancheranno altri 1.000 psichiatri, tra pensionamenti e dimissioni. È questo l'allarme lanciato da dieci società scientifiche della psichiatria italiana, dalle quali arriva la richiesta "urgente" di istituire un'Agenzia Nazionale dedicata.
Si va verso "l'impossibilità di garantire i servizi minimi in un settore in ginocchio già ben prima della pandemia, con assenza di investimenti, una carenza drammatica di medici e ora alle prese anche con un aumento del 30% di diagnosi per la pandemia", avvertono le società scientifiche in un incontro organizzato dalla Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (SINPF).
A confermare l'Italia tra gli ultimi in Europa per la salute mentale, gli investimenti, che sarebbero dovuti crescere almeno fino al 5% del fondo sanitario nazionale, per raggiungere l'obiettivo del 10% indicato in sede comunitaria per i Paesi ad alto reddito, rilevano, sono invece "tracollati dal già misero 3,5% del 2018 al 2,75% del 2020. Cui è seguito un crescente numero di diagnosi post pandemia".
Significa che i 728 mila cittadini in cura nei Dipartimenti di Salute Mentale nel 2020 (passati da 183 a 141 dal 2015 al 2020) sono sicuramente aumentati nel 2021-22 anche se non censiti o non ancora individuati. A tutto questo si aggiunge la fuga del personale, sia medico che infermieristico, da dipartimenti già sotto organico da anni. Tanto che nel 2025, avvertono le Società, mancheranno altri 1.000 psichiatri tra pensionamenti e dimissioni. Infine restano differenze regionali a complicare la situazione.
Nonostante alcuni flebili segnali (nella Legge di Bilancio e nelle linee di indirizzo sui DSM) e un finanziamento della Commissione UE, "non si vede, tra le risorse destinate dal PNRR alla salute un solo euro destinato alla Salute Mentale". In questo contesto giunge quindi un appello, lanciato nei giorni scorsi dalla SINPF e altre dieci Società scientifiche del settore, tra cui la Società italiana di psichiatria, di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza, di Psichiatria delle Dipendenze e la Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze (FeDerSerD) per la creazione di una Agenzia Nazionale per la Salute Mentale, che "dovrà ripartire da zero per mettere l'Italia in condizioni di pareggiare i conti con l'Europa e di ridare dignità a chi soffre e a chi lavora in questo settore così strategico per la società e l'economia italiana".
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Ansia, paura, preoccupazione per il futuro, aumento dei disturbi alimentari e degli episodi di autolesionismo: 9 studenti su dieci manifestano un forte disagio, alcuni anche importanti criticità per la loro salute mentale dopo la pandemia. Altrettanti ritengono utile un supporto psicologico a scuola o all'università, di questi oltre uno su 3, il 35%, vorrebbe usufruirne.
Sono i principali risultati di una indagine promossa dalla Rete degli studenti medi, dall'Unione degli universitari e dal sindacato dei pensionati Spi-Cgil, dal titolo "Chiedimi come sto", che ha coinvolto in un mese 30mila studenti delle scuole superiori e universitari, ed è stata condotta dall'Istituto di ricerca Ires dell'Emilia Romagna.
Tornado al disagio, il 28% degli studenti ha dichiarato di avere disturbi alimentari, il 16% dei quali innescati dalla pandemia, mentre il 14,5% ha avuto esperienze di autolesionismo, la metà in coincidenza con il periodo della pandemia. Il 10% ha assunto sostanze e il 12% ha abusato di alcol.
La pandemia ha prodotto anche un cambiamento dei comportamenti e delle abitudini, con l'aumento dell'uso dei social (78%), dei videogiochi (30,7%) e del fumo (18%). Sono invece diminuiti gli incontri con gli amici, sia online che in presenza (48%) e la cura del proprio aspetto fisico (37%). Il 64% ha subito un cambiamento dei ritmi del sonno. Il 26,2% degli intervistati si è già rivolto a un servizio di supporto psicologico nel corso dell'emergenza sanitaria.
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I disturbi mentali tra i minori sono a rischio cronicità. L'allarme è stato lanciato dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (Agia). "I problemi del neurosviluppo e della salute mentale di bambini e ragazzi manifestatisi durante la pandemia rischiano di diventare cronici e diffondersi su larga scala", ha affermato la Presidente Agia, Carla Garlatti.
La scorsa settimana il Garante per l'infanzia e l'adolescenza ha pubblicato lo studio "Pandemia, neurosviluppo e salute mentale di bambini e ragazzi" , promosso con l'Istituto superiore di sanità (ISS), con la collaborazione del Ministero dell'istruzione. La ricerca, la prima scientifica a valenza nazionale individua tra le patologie: comportamento alimentare, tentato suicidio e suicidio, autolesionismo.
Per la ricerca sono stati ascoltati oltre 90 esperti tra neuropsichiatri infantili, pediatri, assistenti sociali, psicologi, pedagogisti e docenti. I professionisti interpellati - viene spiegato - hanno riferito di disturbi del comportamento alimentare, ideazione suicidaria (tentato suicidio e suicidio), autolesionismo, alterazioni del ritmo sonno-veglia e ritiro sociale.
In ambito educativo, poi, sono stati riscontrati disturbi dell'apprendimento, dell'attenzione e del linguaggio, disturbi della condotta e della regolazione cognitiva ed emotiva, oltre a paura del contagio, stato di frustrazione e incertezza rispetto al futuro, generando insicurezza e casi di abbandono scolastico.
È stato inoltre riportato un aumento delle richieste d'aiuto per l'uso di sostanze psicoattive, cannabinoidi e alcool, mentre i minori migranti non accompagnati hanno manifestato difficoltà nella gestione dell'isolamento e della quarantena nelle strutture di accoglienza.
Più in generale la pandemia ha provocato quella che i professionisti interpellati dall'équipe di ricerca hanno definito una vera e propria "emergenza salute mentale". È stata infatti registrata un'impennata delle richieste di aiuto alla quale in molti casi sono corrisposte inadeguatezza e iniquità di risposte che hanno fatto emergere carenze e ritardi strutturali precedenti al coronavirus.
Bambini, ragazzi e famiglie si sono trovati spesso costretti a rivolgersi ai privati con impegni economici rilevanti e difficilmente sostenibili, che hanno aumentato le disuguaglianze. Allo stesso tempo il lockdown ha fatto scoprire il potenziale della telemedicina applicata alla salute mentale, ma occorre investire rapidamente in formazione degli operatori e in tecnologie specifiche per assistere bambini e ragazzi.
A fronte di questo scenario di disturbi mentali tra i minori l'Autorità garante ha formulato una serie di raccomandazioni. "Tra di esse c'è innanzitutto la necessità che le azioni di programmazione, prevenzione e cura superino la frammentarietà regionale e locale. La fase post pandemica può essere un'occasione straordinaria per farlo e in generale per migliorare il sistema. Ma non c'è tempo da perdere".
"Vanno previste - ha affermato la Presidente Carla Garlatti - adeguate risorse per i servizi, fornite risposte specifiche in base all'età, va garantito un numero di posti letto in reparti dedicati ai minorenni e istituiti servizi di psicologia scolastica in modo da attivare un collegamento tra scuola e territorio. È altrettanto importante operare un cambiamento culturale intervenendo sul ruolo educativo e sulla promozione del dialogo intergenerazionale".
La ricerca è durata un anno e proseguirà per altri due, coinvolgendo fino a 35.000 minorenni dai 6 ai 18 anni nelle cinque regioni coinvolte nello studio. A validarla un comitato, presieduto dal professor Paolo Petralia e composto da autorevoli rappresentanti del mondo scientifico, accademico e delle professioni psico-sociali.
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In Italia i disturbi neuro-psichici dell'età evolutiva colpiscono quasi 2 milioni di bambini e ragazzi. Fattori di rischio comuni e componenti genetiche, neuro-biologiche e ambientali trasversali ed età specifiche possono infatti interferire con il processo del neuro-sviluppo (quel complesso periodo che fin dal concepimento ai primi 1.000 giorni e poi fino alla giovane età adulta), modificando lo sviluppo del cervello molto precocemente, compromettendo le reti neurali che sottendono alla maturazione delle funzioni adattive, motorie, comunicative, di apprendimento, alle emozioni e al comportamento. Gli effetti di tali modifiche possono essere evidenti fin dai primi anni di vita, comportando l'insorgenza di disturbi come l'autismo, i disturbi del linguaggio e dell'apprendimento, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l'epilessia. Oppure rendersi evidenti in adolescenza, con disturbi psichiatrici, come la schizofrenia e la depressione.
Promuovere la salute e la salvaguardia del neuro-sviluppo è dunque cruciale nel determinare la buona salute fisica e mentale degli individui, così come lo è nella genesi e nelle possibilità di cura dei disturbi neurologici, psichiatrici e neuro-psicologici dell'infanzia e dell'adolescenza. Con questo obiettivo la SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza) ha lanciato lo scorso 11 maggio, in occasione dei 50 anni dalla sua fondazione e nell'ambito della Settimana Europea di Sensibilizzazione sulla Salute Mentale 2022, la Giornata Nazionale per la Promozione del Neuro-sviluppo.
"Servono interventi mirati e attenti per la promozione del Neuro-sviluppo - ha spiegato la professoressa Elisa Fazzi, Presidente della SINPIA e direttore della U.O. Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia - per incrementare i fattori protettivi e diminuire l'impatto dei fattori di rischio. Interventi direttamente a supporto di un armonico sviluppo emotivo, motorio, linguistico, cognitivo, sociale dalla nascita all'adolescenza, e poi interventi a supporto delle situazioni di vulnerabilità familiare, maggiore attenzione in tutti gli ambienti e nei contesti di vita in cui i bambini ed i ragazzi crescono e molto altro. Serve infine garantire interventi mirati quando sono presenti segni di rischio di disturbi del neuro-sviluppo. Sempre più ricerche - ha concluso Elisa Fazzi - evidenziano infatti come un positivo neuro-sviluppo, dal concepimento alla giovane età adulta, sia fondamentale nel determinare la buona salute fisica e mentale degli individui".
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Prendersi una pausa dai social media fa bene alla salute e aumenta il senso di benessere. A dimostrarlo è uno studio coordinato dall'Università di Bath e pubblicato sulla rivista Cyberpsychology, Behavior and Social Networking, che ha chiesto a un gruppo di persone tra i 18 e i 72 anni (età media 29) di sospendere l'uso dei social per una settimana. Per alcuni partecipanti questo ha significato guadagnare circa nove ore di tempo per sé, che altrimenti avrebbe passato su Instagram, Facebook, Twitter e TikTok.
Lo studio ha coinvolto 154 persone che trascorrevano in media sui social 8-9 ore a settimana. Dopo avere misurato i livelli di
depressione, ansia e benessere di tutti i partecipanti, ad alcuni di loro è stato chiesto di sospendere l'uso dei social per 7 giorni o ridurlo drasticamente a pochi minuti.
Una settimana dopo, i ricercatori hanno osservato differenze significative tra i punteggi per benessere, ansia e depressione del gruppo senza social e quelli del gruppo di controllo. In particolare, in termini di benessere, il gruppo che aveva sospeso l'uso dei social registrava 4,9 punti in più degli altri, mentre i livelli di depressione e ansia erano scesi rispettivamente di 2,2 punti e di 1,7 punti.
"Scorrere i social media è diventata una pratica così comune che molti di noi lo fanno quasi senza pensarci, ma ci sono crescenti preoccupazioni sugli effetti di questi strumenti sulla salute mentale", afferma Jeff Lambert, primo autore dello studio.
I ricercatori sanno bene che i social media fanno parte della vita delle persone e che per molti sono diventati uno strumento
indispensabile per esprimersi e interagire. Tuttavia, fa notare Lambert, "molti dei partecipanti alla nostra ricerca hanno riportato effetti positivi dalla sospensione dell'uso dei social, con un miglioramento dell'umore e meno ansia in generale. Il nostro studio suggerisce che anche solo una piccola pausa può avere un impatto positivo".
Per i ricercatori resta comunque da indagare gli effetti della sospensione dell'uso dei social per lunghi periodi (ANSA).
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La salute mentale, da tempo trascurata e sotto-finanziata, "ha ricevuto il colpo di grazia con la pandemia e il Piano nazionale di ripresa e resilienza vi dedica poca attenzione". Con il paradosso che, "proprio quando i disturbi mentali aumentano, i servizi sanitari a dedicati diminuiscono". A partire da un problema di personale: nel pubblico la media nazionale è di appena 3,3 psicologi ogni 100mila abitanti, con una forbice che va da 16 in Valle d'Aosta a 1,3 in Piemonte.
È quanto emerge dal "Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in Sanità", presentato da Cittadinanzattiva il 5 maggio.
Le problematiche segnalate dai cittadini al Progetto integrato di Tutela Salute in tema di salute mentale rappresentano il 12,8% delle segnalazioni nell'ambito dell'assistenza territoriale e "mostrano un crescente deficit strutturale dei servizi di salute mentale". Descrivono la disperazione per la gestione di una situazione diventata insostenibile a livello familiare (28%), la scarsa qualità (24%) e la difficoltà di accesso alle cure pubbliche (20%).
A fornire assistenza pubblica, in Italia, sono 126 Dipartimenti per la Salute Mentale, di cui si registra un picco di 27 in Lombardia, e un totale di 1.299 strutture territoriali, pari a 2,6 per 100mila abitanti: è la Toscana a registrare il valore più alto di strutture (7,5), seguita da Valle d'Aosta (5,7) e Veneto (4,4). Ben 15 Regioni sono sotto la media nazionale. Per quanto riguarda il personale, la Liguria con 13,8 presenta il miglior rapporto medici per abitanti, seguita da Toscana e PA Trento (12,8 ciascuno). Anche in questo caso sono ben 13 le Regioni che presentano dati inferiori alla media nazionale (pari a 9): maglia nera a Veneto (5,9) e Marche (6). A fronte di questo, il bonus psicologico 2022 introdotto dal Milleproroghe, ha deluso le associazioni di pazienti "e a molti - spiega il Rapporto - è parso un modo per farsi perdonare la dimenticanza in sede di Pnrr". A conferma di quanto la salute mentale sia trascurata.
MANIFESTO PER LA SALUTE MENTALE: CHI SOFFRE VA CURATO NELLA SUA COMUNITÀ
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Un aumento del 36% dei sintomi associati a disturbi alimentari e boom di ricoveri, aumentati del 48%, in periodo di pandemia: è l`effetto domino che il Covid ha generato in pazienti con disturbi alimentari tra cui bulimia, anoressia nervosa e altre patologie cibo-correlate. Sono i dati emersi da uno studio pubblicato dall`International Journal of Eating Disorder, una revisione di 53 ricerche condotte sul tema e che ha coinvolto complessivamente oltre 36 mila pazienti, con età media di 24 anni di cui oltre il 90% donne.
L'alterazione delle abitudini alimentari - dal desiderio di 'accaparramento' di più cibo per timore di carestia legata al lockdown, a pasti poco strutturati, a sensibili aumenti di peso - è stata la punta dell`iceberg di una fragilità psico-emotiva rimasta sommersa: sentimenti di forte solitudine, abbandono e allontanamento dal contesto reale, peggioramento dell'umore, idee suicidarie, atti di autolesionismo, maggiori accessi al pronto soccorso. I dati di questo studio internazionale sono stati anticipati e confermati da una indagine multicentrica condotta in Italia su persone con disturbi alimentari pubblicata sul Journal of Affective Disorders nel 2021.
"Potremmo definirla una `fame di cibo e dell`anima`, un male del fisico e della mente che conferma la stretta relazione fra
cervello e intestino, cui i pazienti con disturbi alimentari più esposti a depressione e ansia sono maggiormente sensibili rispetto alla popolazione generale - spiega Matteo Balestrieri, co-presidente della Sinpf e professore ordinario di psichiatria all`Università di Udine -. Ad aggravare il quadro della salute mentale e metabolica, anche la difficoltà di accesso alle cure, i contatti da remoto con i medici referenti, le incertezze correlate alla pandemia, i cambiamenti della normale routine, la perdita di punti fermi strutturale, e di contatti sociali, l`influenza negativa dei media".
"I dati emersi da questo studio internazionale sono confermati anche in Italia, a carico soprattutto dei giovani - precisa Claudio Mencacci, co-presidente della Sinpf e direttore emerito di neuroscienze e salute mentale all`ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano -. Una recente indagine multicentrica condotta in Italia su persone con disturbi alimentari, pubblicata sul Journal of Affective Disorders nel 2021, ha evidenziato che durante il lockdown vi è stato un aumento significativo di ansia (+20%), depressione (+20%), sintomi post-traumatici (+16%), panico (+30%) e insonnia (+18%). Dopo la prima fase acuta della pandemia (il lockdown) la gran parte di questi sintomi sono rimasti allo stesso livello, mentre i livelli ansia sono ulteriormente cresciuti (+10%) a testimonianza di un generale malessere e insicurezza generati dalla pandemia".
"Rapporto alterato con il cibo, disagio psichico, limitazione di accesso alle cure - conclude Balestrieri - sono un 'trinomio' drammatico per i pazienti con disturbi alimentari. Lo vedevamo ogni giorno nella 'real life', oggi è confermato dagli studi: il
contesto pandemico, l`isolamento, la perdita di punti fermi, l`incertezza del futuro hanno acuito le fragilità di questa classe di pazienti che nel quotidiano si sono tradotte nella ricerca di più cibo, quale atto compensatorio e premiante dell`incapacità di accettare e gestire il cambiamento repentino della routine e le conseguenze che Covid ha generato".
COVID E ADOLESCENTI: AUMENTATO IL DISAGIO MENTALE
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Un genitore su tre fatica a riconoscere l'obesità del proprio figlio. Questo è ciò che emerge, principalmente, dai nuovi dati dello studio internazionale ACTION TEENS, condotto in dieci paesi nei vari continenti, Italia inclusa, e presentato il 6 maggio da Novo Nordisk al Congresso Europeo sull'Obesità 2022.
L'obiettivo primario dello studio, che ha coinvolto circa 13.000 persone, di cui oltre 5.000 bambini e adolescenti con obesità, 5.400 genitori e caregiver, e più di 2.000 operatori sanitari, era quello di identificare le percezioni, le attitudini, i comportamenti e gli ostacoli per la cura dell'obesità e capire in che modo questi fattori influenzino la sua gestione.
I nuovi dati evidenziano che l'obesità pediatrica ha un notevole impatto sulle aspettative di vita di chi ne è affetto: infatti, il rischio di morte prematura triplica nei bambini con obesità rispetto ai bambini che hanno un indice di massa corporea (BMI) nella norma.
I genitori di bambini con obesità faticano a riconoscerla e spesso sottovalutano la gravità della malattia, convincendosi che si risolverà con la crescita, aspettativa quest'ultima assolutamente non supportata dalle evidenze scientifiche.
Purtroppo, invece, sottovalutare questa malattia in bambini e adolescenti porta a complicanze già in giovane età, con lo sviluppo di malattie croniche come problemi di salute mentale, disturbi cardiaci, diabete di tipo 2, nonché alcuni tumori e problemi a scheletro e articolazioni.
Dallo studio, infine, emerge la necessità di migliorare i percorsi di formazione di medici e operatori sanitari nella gestione e nella cura dell'obesità come malattia cronica. Secondo i dati raccolti risulta, infatti, che l'87 per cento ritiene di non aver avuto una formazione adeguata su questa malattia.
"L'obesità è una malattia cronica che tende a recidivare e nel tempo può complicarsi con lo sviluppo di altre malattie, ma se trattata con serietà, tempo, dedizione e impegno si può curare - ha spiegato Claudio Maffeis, Past President della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica - In Italia i dati più recenti dell'indagine Okkio alla Salute ci dicono che purtroppo siamo tra i paesi europei con i valori più elevati di sovrappeso e obesità nella popolazione in età scolare, risulta infatti che la percentuale di bambini in sovrappeso è del 20,4 per cento e di bambini con obesità del 9,4 per cento, compresi i gravemente obesi che rappresentano il 2,4 per cento".
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