Ci sono due tipi di trauma, Big-T e Small-T.
Come ha spiegato la psicologa e psicoterapeuta Silvia Pepe, nel corso del quinto incontro del corso di formazione "Volontari e famiglie in rete per la salute mentale", al primo appartengono eventi di grande portata, anche collettiva, che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care, come abusi, incidenti gravi, disastri naturali. Al secondo, si riferiscono esperienze ed eventi di vita emotivamente stressanti che lasciano segni indelebili sul senso di sicurezza e di fiducia.
La ricerca scientifica ha dimostrato che i due tipi di trauma, seppure molto differenti, dal punto di vista emotivo determinano una reazione pressoché analoga e gli stessi sintomi: disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione e di memoria, mancanza di energia, irritabilità, chiusura.
Il COVID-19 è al contempo un trauma Big-T e Small-T, individuale e collettivo. Separa un prima da un dopo: è impensabile immaginare che la vita possa restare la stessa. Non c‘è difesa possibile. Ci sentiamo sovrastati da un evento più grande di noi. Siamo passati da una situazione di potenza a una di impotenza.
In una guerra si conosce il nemico, con il virus il nemico è sconosciuto, per difenderci c’è solo il confinamento, la rinuncia alla socialità, al rapporto fisico con gli altri. La pandemia ha cancellato persino i rituali che accompagnano il lutto e ne attutiscono il dolore.
In questo quadro, più della paura che si può affrontare e vincere, ci assale l’angoscia che viaggia nel mondo dell’ignoto.
Come reagire?
Anche isolati nel lockdown possiamo sperimentare la libertà in modo diverso: con la solidarietà e la connessione con l’altro attraverso strumenti nuovi che ci consentano di superare i limiti imposti a livello individuale e collettivo.
Il trauma porta con sé una “forza misteriosa”. Esistono crescite post traumatiche, pericoli e rotture che diventano opportunità, resilienze. Il gruppo è un potente sistema, bisogna ripartire dalle relazioni. Per combattere contro l’angoscia del futuro restiamo nel “qui e ora”, seguendo regole semplici come mangiare e dormire in modo regolare, parlare con la famiglia e gli amici, fare esercizio fisico e attività che aiutano a rilassarsi, ascoltare musica, leggere. E trovare il modo di aiutare gli altri in una nuova fratellanza.
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“La resilienza come strumento di salute mentale” è il titolo del quarto appuntamento del corso di formazione "Volontari e famiglie in rete per la salute mentale", relatore lo psichiatra José Mannu.
La "resilienza" non è un termine che nasce in ambito psichiatrico - ha spiegato Mannu nel corso del suo recente intervento al Màt Modena, Settimana della Salute Mentale - ma proviene dall’ingegneria, e indica la capacità di un materiale di assorbire energia elasticamente, quando sottoposto a un carico o a un urto, prima di giungere a rottura.
Per comprendere l’utilizzo della parola resilienza nell’ambito della salute mentale, è opportuno ripercorrere la storia della psichiatria. Nel ‘700 Philippe Pinel suggerisce che i folli siano considerati persone e che la follia sia solo follia parziale. Il folle ha dunque una parte sana, che deve essere liberata dalla malattia, attraverso il “trattamento morale”. Cioè sviluppare la parte sana attraverso l’educazione, la persuasione e la disciplina dell’individuo. Nascono così i manicomi.
Durante la seconda Guerra Mondiale, Wilfred Bion suggerisce di allearsi con la parte sana per combattere insieme quella malata. Questa alleanza avviene nella comunità, un luogo dove la follia potesse esprimersi liberamente, e non come in manicomio.
Con l'esperimento di comunità realizzato a Gorizia, negli anni ’60 Franco Basaglia sostiene che l'esistenza stessa di un luogo in cui la follia possa esprimersi causa una cronicizzazione della malattia. Per questo, secondo Basaglia, la cura non può avvenire in un luogo, ma nel territorio dove una persona vive. Si tratta di un cambiamento culturale nella psichiatria, una vera rivoluzione.
All’alba degli anni 2000, la Teoria della Capacità impone una nuova visione della “parte sana”, che si esprime attraverso la capacità e il funzionamento della persona. Il benessere individuale nasce dalla relazione. Diventa dunque necessario vedere dove le persone sono in grado di agire, dove “funzionano”, cioè la reale opportunità di intraprendere un'attività e la reale voglia di essere ciò che si vuole essere.
Tornando alla resilienza, possiamo dire che questa esplora i modi in cui gestire una natura (o un tessuto economico/sociale) che non è in equilibrio. Secondo la definizione di Michael Ungar, “Più che un set di caratteristiche individuali, sono le strutture intorno alla persona, i servizi che la persona riceve, il modo in cui è strutturata la sanità, tutti questi si combinano con le caratteristiche della persona che permettono di far fronte alle avversità che affrontano e trovare strade verso la resilienza”.
Solo chi ha la memoria è in grado di vivere nella fragilità del tempo presente. Lo ha spiegato il filosofo Pierangelo Di Vittorio, sabato 24 ottobre, durante il terzo incontro del corso di formazione “Volontari e famiglie in rete per la salute mentale”, dal titolo “Le relazioni sociali, un nuovo paradigma”, in un excursus tra arte, letteratura, filosofia e cinema.
C’è un valore d’uso della Storia: il presente deve rileggere costantemente il passato, farlo a pezzi per riattualizzarlo. Il monumento è il grado zero del valore d’uso, non serve alla vita, ha affermato Di Vittorio sulla scorta di Nietzsche. Solo smontando e rimontando il passato può nascere qualcosa di nuovo.
Ma cosa fonda il legame sociale nel corso della Storia? Secondo una certa cultura, l’uomo agisce razionalmente perseguendo il proprio utile, e la coesione sociale nascerebbe dal gioco regolato degli interessi individuali.
E se invece fosse un “trauma”, personale o collettivo, a rendere possibile un legame fra gli uomini? Pensiamo a Edipo che, nel cercare di rispondere alla domanda “da dove vengo? chi sono?”, scopre l’orrore della propria storia. La democrazia ateniese rifletteva su se stessa attraverso le tragedie, ed è forse è sempre intorno a un trauma che una comunità si raccoglie.
Sul tema della “follia” c’è stata, da un lato una caduta di interesse sociale che ha riportato ai margini i malati mentali, mentre dall’altro, nel delirio capitalista in cui siamo presi – secondo Pierangelo Di Vittorio –, la follia è “messa al lavoro”: lo scatenamento pulsionale (droghe, eccessi di ogni genere, violenza) diventa la leva per incrementare la produzione, per produrre ricchezza.
C’è bisogno che la follia torni a risuonare nella società. La società deve riconoscere, non solo che la follia le appartiene, ma anche che svolge un “servizio pubblico”: ritrovando le tracce del legame sociale lacerato e perduto, può offrire la possibilità di un vivere comune più ricco e fecondo.
Come dimostra l’esperienza di Basaglia, tuttavia, per creare un legame sociale bisogna prima riconoscere l’“altro” come un avversario legittimo. Dinanzi agli internati di Gorizia, che contestavano il riformismo della comunità terapeutica, il gesto umanitario di Basaglia ha dovuto farsi politico, prima accogliendo la loro contestazione, poi diventando un loro alleato nella lotta per il superamento del manicomio.
È da questo esempio che si può ricominciare.
La biografia “Franco Basaglia”, di Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio
Prima di analizzare le relazioni sociali, è bene occuparsi del nuovo paradigma. Ma come va costruito questo “nuovo”? È la domanda da cui partirà il filosofo Pierangelo Di Vittorio, nel terzo appuntamento del corso di formazione “Volontari e famiglie in rete per la salute mentale”, in programma sabato 24 ottobre, presso la Fondazione Di Liegro.
La risposta – secondo Di Vittorio - è nel mettere insieme pezzi di passato, nella forma di archivi culturali, e pezzi di presente, cioè diagnosi sui problemi e le tensioni che attraversano l’attualità. Una specie di mosaico, formato da tasselli su cui Di Vittorio lavora da tempo, raccolti a partire dalla questione delle relazioni sociali.
Ed è come in un mosaico che si comporranno i temi dell’incontro, tra il filosofo Walter Benjamin e il presente che ha “il potere delle chiavi sulle stanze del passato” e lo scrittore e filosofo Michel Foucault, che si è occupato della pazzia sin dalla sua tesi di dottorato “Storia della follia nell’età classica” e proprio sulla follia ci ha invitato a interrogarci, perché “dall’uomo al vero uomo, la strada passa per l’uomo pazzo”.
Durante l’incontro si parlerà inevitabilmente di Franco Basaglia (con cui Pierangelo Di Vittorio venne indirettamente in contatto quando dopo la laurea svolse il servizio civile presso il Dipartimento di salute mentale di Trieste) e della sua decisione di intraprendere la strada dell’invenzione e della cura del legame sociale. Si legga a tal proposito la monografia "Franco Basaglia", scritta con Mario Colucci, uscita nel 2001 e recentemente riedita.
“Iniziata nel segno di un amore per il sapere, nel segno della filosofia, l’esperienza di Basaglia si è sviluppata come un rapporto d’amore nei confronti dei pazienti, per realizzarsi infine nella costruzione di un altro modo di vivere insieme. Un vivere comune più giusto e fecondo – ha scritto Di Vittorio sulla rivista “Aut Aut” nel 2017 – di cui la società italiana e il mondo intero portano ancora la responsabilità e l’attiva speranza”.
Quante volte sentiamo rivolgere un banale “Come stai?”, seguito spesso da un altrettanto banale “bene, grazie”? Infinite volte. In realtà, in questa domanda c’è una proposta di relazione dietro la quale possono esserci moltissime sfumature che portano ad entrare in rapporto con un’altra persona. E se, ad esempio, quell’altra persona è un malato senzatetto che sta soffrendo in strada le conseguenze del lockdown e ha perso quel poco di apertura relazionale che si era costruito arrivando a trascurare del tutto il suo stato di salute e il suo malessere, quel ‘come stai’ (o anche un ‘come va’ o un ‘che si dice’) può diventare il primo passo verso l’avvicinamento alle strutture sanitarie.
Così è cominciato Tu come stai? Distanziamento, isolamento e solitudine, il secondo incontro del corso di formazione "Volontari e famiglie in rete per la salute mentale" della Fondazione Di Liegro. Relatore, il Dott. Massimiliano Aragona, psichiatra, psicoterapeuta e filosofo, coordinatore del SIMM, gruppo “Salute mentale e Immigrazione” della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni.
Inevitabilmente, il COVID-19 è stato al centro del suo discorso e degli interventi dei partecipanti in presenza e in rete, volontari e persone attive nel Terzo settore.
Anche dentro le case il lockdown totale ha rappresentato un shock, il cambiamento del nostro stile di vita che non concepiva il distanziamento sociale, il divieto del rapporto fisico. Molti ne hanno sofferto profondamente, ma non sono stati pochi quelli che ne hanno apprezzato alcuni aspetti: le città e l’aria più pulite, il traffico cancellato, le file rispettate, i cinema vuoti.
Conferma che in ogni situazione – anche in quella che 60 milioni di italiani stanno vivendo contemporaneamente, ognuno a suo modo – esistono fattori di resilienza, opportunità inaspettate che, se prese dal lato giusto, possono portare a sviluppi positivi. Per esempio costringerci a porci la domanda: “Che cos’è veramente importante nella vita?”.
Ma in definitiva, il lockdown ha migliorato le cose nelle comunità, famiglia in primis, in cui le cose andavano bene e peggiorato in quelle in cui andavano male.
Sorprese sono arrivate da diverse persone affette da particolari disturbi mentali, che hanno vissuto bene la condivisione delle regole con tutti gli altri.
Nella crisi il Terzo settore ha continuato ad essere presente, dimostrando quanto sia importante nella società.
Il Servizio pubblico nel suo complesso ha avuto molti problemi. La pandemia è stata uno stress-test per un sistema che ha mostrato le sue falle. Strutture sanitarie preposte alla cura delle malattie mentali davanti alla minaccia del virus hanno serrato le porte: i pazienti che erano fuori non sono potuti entrare, quelli che erano dentro non sono potuti uscire, restando chiusi insieme ai sanitari per un mese/un mese e mezzo, lontani dalla famiglia, spesso senza spiegazioni su quello che stava accadendo. Alcuni hanno sopportato bene, altri no.
E adesso c’è la seconda ondata. Bene o male la aspettavamo tutti e sapevamo che dovevamo prepararci, ma eccoci ancora tutti nella stessa barca con l’ansia che sale.
È una fase diversa. Probabilmente non ci sarà un secondo lockdown totale, letale per l’economia, ma mancano indicazioni e regole chiare per tutti e toccherà a ognuno di noi il compito e il peso di cercare i comportamenti giusti.
Il 21 settembre a Modena, nell’ambito del Màt, Settimana della Salute Mentale, la Fondazione Di Liegro organizza il seminario dal titolo “Empatia e resilienza in Salute Mentale”, relatore lo psichiatra José Mannu.
Nel corso del seminario verrà presentato il progetto “Volontari e Famiglie in rete per la salute mentale” della Fondazione Di Liegro, un insieme di attività che intendono realizzare e sviluppare una rete di supporto per le persone con disagio psichico e i loro familiari, allo scopo di favorirne l’inserimento sociale, permetterne l’attuazione di un percorso di recovery e diffondere una maggiore conoscenza e consapevolezza circa le modalità di affrontare il disagio psichico.
Il Màt-Settimana della Salute Mentale è la manifestazione promossa dal Dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche dell’AUSL di Modena. Sette giorni di dibattiti, conferenze, eventi artistici e culturali aperti a tutta la cittadinanza, dislocati in diverse aree di Modena e provincia, con l’obiettivo di sensibilizzare il territorio sui temi della salute mentale e implementare la lotta al pregiudizio e allo stigma che gravano su chi soffre di disagio psichico.
Il seminario “Empatia e resilienza in Salute Mentale” sarà trasmesso in diretta streaming sul sito del Màt e sui canali Facebook e YouTube della manifestazione, a partire dalle 15 di mercoledì 21 ottobre.
Tutti siamo in una comunità, quando costruiamo relazioni in uno stesso spazio e per un determinato periodo di tempo. Proprio dal concetto di comunità bisognerebbe partire anche quando si parla di volontariato e delle conseguenze della pandemia.
È questo il tema del primo appuntamento del corso di formazione “Volontari e famiglie in rete per la salute mentale”, dal titolo “Volontariato e comunità, ripartire dalla crisi”, in programma sabato 3 ottobre 2020, alle ore 10.30, con Andrea Volterrani, sociologo, ricercatore e docente all’Università di Roma Tor Vergata.
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Il professor Volterrani, che si occupa di ricerca, formazione e consulenze sulle politiche sociali, terzo settore, comunicazione sociale, valutazione del valore sociale aggiunto e di impatto del terzo settore, nuove forme della mutualità e della sussidiarietà e comunità resilienti, è autore di numerose pubblicazioni, tra cui (con Paola Tola e Andrea Bilotti) Il gusto del volontariato. Per Volterrani, il volontariato deve essere piacere e non dovere o sofferenza, piuttosto un’opera distintiva e non la gratificazione dell’aver dato aiuto.
Per questo, è necessario un cambio di mentalità, cercando di far crescere il capitale sociale all’interno di una comunità, emanciparla e, solo in un secondo momento, cercare il sostegno economico ai progetti. Un rovesciamento della prassi comune, insomma, in cui si dovrebbe prima emancipare la comunità e poi costruire i servizi, fornendole gli strumenti necessari.
Nel corso dell’incontro “Volontariato e comunità, ripartire dalla crisi”, Andrea Volterrani affronterà anche il tema dell’utilizzo dei media digitali per aumentare l'inclusione nelle comunità. Non possiamo ignorare gli strumenti tecnologici, ma possiamo usarli all’opposto dell’abituale individualizzazione, per fare inclusione sociale e immaginare spazi alternativi per comunità digitali intelligenti e consapevoli.
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Tutto pronto per la cerimonia di premiazione del Premio internazionale di poesia Don Luigi Di Liegro. L'evento è in programma sabato 18 settembre, alle ore 15, presso il Salone del Trono di Palazzo Passarini Falletti a Roma.
Il palazzo Passarini Falletti è un palazzo nobiliare che si trova in via Panisperna 207, nel Centro Storico della Capitale, precisamente nel rione Monti. Fu costruito nella prima metà del Settecento, in luogo di un precedente insediamento architettonico del Seicento. Il Salone del Trono è un ambiente luminoso arricchito da lampadari di Murano e una soffittatura con cassettoni in legno.
Nell'occasione, sarà disponibile "Voli di farfalle e calabroni, l’antologia della XI edizione del Premio internazionale di poesia Don Luigi Di Liegro, edita da “Terra d’ulivi”, con gli autori, i testi e le motivazioni delle opere vincitrici.
Nonostante il lockdown, che ha costretto a spostare a settembre la data della cerimonia di premiazione del Premio internazionale di poesia Don Luigi Di Liegro, l'edizione 2020 ha fatto registrare "un così gran numero di opere di alto valore letterario", ha commentato il presidente del Premio, Renato Fiorito. "Nonostante le condizioni difficili - ha ricordato Fiorito - la poesia trova sempre misteriosamente le sue strade per invadere la vita di tanti".
Per favorire la partecipazione, in ragione anche della normativa per il distanziamento sociale, l'evento verrà trasmesso in diretta streaming sulla pagina Facebook del Premio.
L'elenco dei vincitori della XI edizione del Premio internazionale di poesia Don Luigi Di Liegro
Teniamo viva la memoria di Luigi Di Liegro
È solo amore se amore sai dare. Quel fare amore che è azione, che si manifesta nella cura di se stessi e degli altri. Partecipando alla riffa ti prenderai cura delle persone che soffrono di disagio psichico, sostenendo i progetti di inclusione e la concreta battaglia contro lo stigma che la Fondazione porta avanti da più di vent’anni. Inoltre, parteciperai all’estrazione di premi di benessere scelti con cura per te:
L’estrazione dei biglietti vincitori si terrà durante La musica che tutto cambia il prossimo 14 febbraio: una serata di arte e solidarietà nella prestigiosa cornice del Conservatorio di Santa Cecilia (via dei Greci, 18 - Roma). Con l’ingresso alla serata di San Valentino è compreso un biglietto alla riffa.
I BIGLIETTI DELLA RIFFA
Per acquistare i biglietti della riffa scrivici su segreteria@fondazionediliegro.it, chiamaci allo 06 6792669 o passa in Fondazione in via Ostiense 106 - Roma
La Fondazione è lieta di presentare il concerto dei Briganti Pizzicati, il gruppo musicale del nostro laboratorio di arte terapia e socializzazione, nella prestigiosa cornice del Conservatorio di Santa Cecilia (via dei Greci, 18 - Roma).
I Briganti Pizzicati si esibiranno il 14 febbraio prossimo alle 19.00. La scelta della data non è casuale, ma evocativa. Il tema della serata sarà l’amore, quell’amore che si manifesta nella cura di se stessi e degli altri; cura che significa azione, verso il proprio (e altrui) benessere psicosociale.
La vera protagonista della serata sarà l’arte e il suo valore materiale e immateriale di cura e inclusione. Oltre alle musiche dei Briganti Pizzicati, in collaborazione con Musica in Cammino, ci saranno incursioni poetiche e teatrali, frutto del lavoro svolto in altri laboratori di arte terapia, nell’ottica di una collaborazione creativa che ne metta in luce il loro valore tecnico riabilitativo. Ci sarà, inoltre, la straordinaria esibizione di uno studente di alta formazione del Conservatorio di Santa Cecilia.
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Ingresso a La musica che tutto cambia con donazione: dona qui.
Con l'ingresso al concerto si avrà diritto a un biglietto della nostra Riffa di solidarietà: potrai, quindi, partecipare all’estrazione di Premi di benessere scelti per te, scoprili qui; ma, soprattutto, ti prenderai cura delle persone che soffrono di disagio psichico, sostenendo i progetti di inclusione e la concreta battaglia contro lo stigma che la Fondazione porta avanti da più di vent’anni.
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IL PROGRAMMA
La serata musicale sarà condotta da Adriana Pannitteri, giornalista del TG1 molto sensibile e attenta al tema della salute mentale. La regia sarà a cura di Franco Pennacchi.