Il prossimo 16 ottobre, in occasione di quello che sarebbe stato il suo 91esimo compleanno, ci ritroviamo insieme agli amici e alle amiche della Fondazione per ricordare in musica la nostra costante fonte di ispirazione.
Alle 19.30 presso la chiesa di S. Francesco Saverio Oratorio del Caravita (via del Caravita, 7), ci accompagneranno le note dei giovani artisti della Civica scuola delle Arti di Roma.
Il Concerto è un momento festoso di ricordo. Per questo motivo le formazioni corali della Civica scuola delle Arti di Roma, dirette dal M° Annalisa Pellegrini, giocheranno con i colori della musica a 360°. Il Concerto è dedicato a tutti, dai piccoli ai grandi, e includerà brevi brani polifonici in italiano, inglese e spagnolo, per un abbraccio ideale a tutte le persone che nel mondo conoscono o hanno conosciuto non solo Don Di Liegro, ma anche e soprattutto le sue opere e le attività benefiche che la Fondazione Di Liegro continua a promuovere.
Il corpus centrale del concerto è dedicato ad un autore italiano classico, ma conosciuto da tutti: Antonio Vivaldi. Il Coro RomEnsemble eseguirà alcuni dei brani più amati dal pubblico estratti dal Gloria RV 589. Il Concerto si concluderà poi con una sezione dedicata alla musica contemporanea delle grandi colonne sonore di film come "Lea Choristes", "The Gabriel's Oboe" di E. Morricone e "Sister Act": un momento gioioso in cui i protagonisti saranno i COLORI della MUSICA.
Abbiamo chiesto a Cesare Moreno, presidente dell'Associazione Maestri di Strada di onlus, di rispondere ad alcune domande.
Come si possono affrontare oggi i problemi della droga, del policonsumo di sostanze, delle nuove dipendenze, ad esempio, quelle tecnologiche tra i giovani e giovanissimi?
I comportamenti giovanili estremi, tra cui quelli citati, costituiscono risposte compulsive a problemi che richiedono risposte complesse che dovrebbero segnare il passaggio alla maturità. Dal mio punto di vista c’è il problema generale della dipendenza che è sostanzialmente una “crisi della presenza” o anche una forma di “anomia diffusa”. Due facce della stessa medaglia che rimandano a un sentirsi permanentemente fuori posto, dall’avere un bisogno compulsivo di sensazioni forti per accorgersi di esserci. Tra queste risposte includo anche la dipendenza da ideologie e da capi carismatici, il conformismo ossessivo e persino le sindromi di ritiro sociale che portano all’estremo questo sentirsi fuori posto. Tutte queste situazioni rimandano ad un unico problema: l’assenza di comunità, ossia l’assenza di legami significativi, di relazioni in cui la giovane persona sente di avere un ruolo, sente che la sua esistenza ha un significato, può sentire il suo esserci perché c’è qualcuno che condivide con lei un sogno, un desiderio.
Quale strategia devono avere oggi i servizi per affrontare il problema del disagio giovanile?
Qualsiasi servizio, a cominciare da quello scolastico, dovrebbe ripartire non dal disagio giovanile, ma dal “disagio della civiltà” dalle forme contemporanee che assume il disagio esistenziale, il modo dell’animale uomo di essere in una società organizzata. Il processo di ominizzazione o processo di incivilimento, anche nelle forme di cultura più rarefatta, è basato comunque su processi che riguardano il corpo e le sue espressioni emozionali. Il disagio della civiltà è innanzi tutto la difficoltà a collocare il sé corporeo in un processo sociale che nelle sue espressioni dominanti nega tutti i fenomeni legati al corpo e li tratta tutti come oggetto di consumo e di un ipercontrollo preteso razionale. Cominciare da qui significa lavorare con i giovani a partire dalla condivisione di un disagio profondo, a partire dal fatto che gli adulti e gli operatori dimostrino con la propria esistenza e resistenza di saper essere se stessi nonostante tutto, nonostante “ogni evidenza contraria” tesa alla svalutazione dell’umano. Qualsiasi servizio alla persona dovrebbe partire dalla condivisione, dal tentare di costruire comunità, dal curare insieme un bene comune che in questo caso è il benessere psichico dei giovani e degli operatori incaricati di interagire con loro.
Per affrontare le dipendenze come si può strutturare un lavoro in rete che sia organico e realmente integrato tra i servizi e le altre risorse presenti sul territorio: scuole, associazioni di volontariato, parrocchie, cooperative sociali, datori di lavoro?
Per un vero lavoro in rete occorre fondare un’alleanza a monte dei servizi. Occorre riconoscersi insieme in una comunità territoriale prima ancora che in una comunità professionale. Le reti finora sono state intese come una federazione di repubbliche indipendenti, con tutti i limiti ed i fallimenti del caso. Bisogna invece partire dalla condivisione di un bene comune che in questo caso è la rete delle relazioni comunitarie. Il popolo è entità concreta e non ideologica, quando esiste la cura reciproca, quando gli specialismi dialogano intimamente con interlocutori non specialistici. L’essenza di una vera comunità è il dialogo permanente e paritario tra persone che svolgono una funzione specializzata e comuni cittadini che non sono destinatari ma interlocutori di chi svolge un servizio. Ogni servizio ha una sua logica specifica legata alle tecniche che deve usare in relazione alla propria missione , ma tutti i servizi devono operare come parte di una comunità e come fondatori di quella comunità. Finché i servizi operano come avamposti dello Stato in territori non toccati dalla grazia, le reti non funzionano e se funzionano lo fanno a difesa di sé - di una identità professionale fine a se stessa - e non a sostegno della comunità di vita.
Da dove partire per avviare percorsi di recupero di giovani e giovanissimi che vivono forme di dipendenza e di disagio sociale?
Bisogna che in ogni quartiere, in ogni unità territoriale per la quale si possa ipotizzare uno spazio per relazioni comunitarie, ci sia un centro di promozione della socialità che non sia solo giovanile, ma riguardi tutti i cittadini che sentono il desiderio di stabilire relazioni di comunità, un luogo che promuova iniziative e non si limiti ad aggregare, un luogo cin cui si possa realizzare un incontro autentico tra le generazioni. In questo “brodo di coltura” comunitaria possono operare servizi specializzati che aiutano e sostengono i giovani nel trovare la strada della significanza.
Venerdì 27 settembre, dalle ore 18 alle 20.30, la Fondazione Don Luigi Di Liegro ospiterà l’anteprima romana del BodyMindDialogue® (BMD), metodo per la crescita personale della scuola di counseling WinnerTeam.
L’incontro, che sarà condotto dalla docente Paola Poluzzi, è gratuito e rivolto a tutti coloro che desiderano sperimentare un’esperienza di consapevolezza corporea fondata su movimento, danza, visualizzazione interiore, tecniche di meditazione e respirazione. Con l’approccio integrato di auto-percezione del BMD è possibile migliorare il rapporto tra la mente, il corpo e le emozioni, considerati nella loro dimensione di aspetti diversi della nostra unicità, in un percorso di sostanziale auto-formazione.
Consigliato a tutti, il BMD può essere utile anche a chi opera nel campo del benessere e delle relazioni d’aiuto e potrà essere praticato a Roma nel corso annuale di imminente attivazione che verrà presentato in occasione dell’incontro del 27 settembre.
Per partecipare occorrono soltanto curiosità e indumenti pratici, prenotando prima alla Segreteria della Fondazione Don Luigi di Liegro (segreteria@fondazionediliegro.it, tel. 066792669 - 0693572111). Ci si può iscrivere online qui: http://bit.ly/BMD_ISCRIZIONE
Per informazioni è inoltre disponibile la docente Paola Poluzzi al cell. 349 2530646.
Per Eugenio Borgna i disturbi psichici sono propri della condizione dell’uomo e nessuno è escluso, “ciascuno di noi può andare incontro alla sofferenza psichica indipendentemente dall’età, dalla cultura e dalla condizione sociale”. Questo fa sì che si guardi alle persone che vivono una situazione di sofferenza psichica, sia da parte dei servizi che dei cittadini, con un atteggiamento di comprensione e di solidarietà. Serve però un cambio di passo nel campo della salute mentale verso una “psichiatria gentile” e una opinione pubblica meno estranea al tema.
Il bel libro di Eugenio Borgna, pubblicato da Giulio Einaudi Editore (2019), tratteggia l’excursus storico della psichiatria fino a intravvedere, o meglio ad auspicare, quella del futuro, alla luce della sua esperienza di psichiatra che ha attraversato buona parte del Novecento.
L’autore parte dalla prima rivoluzione della psichiatria che all’inizio del secolo scorso ispirandosi ad una corrente filosofica ha proposto come oggetto della psichiatria non il cervello con le sue disfunzioni, ma la soggettività, l’interiorità dei pazienti, ovvero la persona e non la malattia. E’ l’approccio “fenomenologico” che però non è riuscito a contrastare l’egemonia della psichiatria “somatologica”. Questa, alla stregua di una scienza naturale, con le sue leggi e i suoi determinismi fonda l’approccio bio-medico e l’oggettivizzazione del malato ridotto ai suoi sintomi e isolato in appositi contenitori, i manicomi, che hanno l’ambiguo mandato di garantire la “cura” della follia insieme al controllo sociale.
L’autore è partecipe-protagonista anche della seconda rivoluzione, quella etica immaginata da Basaglia (che ispira la legge 180/1978), che a partire dall’approccio fenomenologico rende possibile quello che sembrava impossibile, il superamento dell’istituzione totale del manicomio e la liberazione del paziente perché senza libertà non vi è possibilità di cura. La psichiatria diventa scienza sociale, scienza umana e la persona sofferente viene presa in carico in un articolato sistema di servizi sul territorio. Tuttavia ancora oggi, a oltre 40 anni di distanza, la legge 180 risulta in parte incompiuta o tradita secondo due indicatori: l’orientamento alla separatezza e alla contenzione nel modello dei reparti ospedalieri di diagnosi e cura (SPDC) che non sempre garantisce condizioni di degenza rispettose dei diritti umani dei pazienti, e lo stesso vale per tante strutture residenziali, più contenitive che curative; l’applicazione del vertiginoso aumento dei disturbi che affollano i manuali diagnostici (vedi DSM), in linea con la tendenza culturale ad escludere la soggettività dai comportamenti e con essa la ricerca di significati che li connotano. Da qui poi l’orientamento ad una somministrazione di psicofarmaci che limita o esclude psicoterapia e inclusione sociale.
E la psichiatria del futuro? E’ una “psichiatria gentile”, dal volto umano dell’operatore che sa accogliere ed entrare in risonanza emotiva con la persona sofferente per instaurare un dialogo aperto che chiede tempo e che parte dall’ascolto attivo e comprensivo dove le parole e il linguaggio del corpo sono importanti come i silenzi. La parola chiave qui è “immedesimazione” che esalta l’approccio psico-relazionale che viene prima di ogni altra prestazione, compresa quella farmacologica, complementare e mai sostitutiva. Per l’operatore della salute mentale si tratta di incontrare autenticamente la persona sofferente nella sua umanità, di entrare nella sua storia e di cogliere il senso che si nasconde nella sofferenza psichica, lasciandosi interpellare da emozioni e parole che ne rispecchiano l’interiorità. La relazione psicoterapeutica è così un incontro tra due interiorità, il dialogo scaturisce dal profondo, dalla ricerca di sé nell’altro e dell’altro in sé. Per Borgna “senza la ricerca di ciò che ci unisce, nonostante ogni differenza (…) non si riesce ad aiutare chi sta male, e nemmeno si riesce a salvaguardare la nostra interiorità che tende a inaridirsi e a spegnersi”. E ancora “la psichiatria tradisce la sua ragione di essere umana se non ci sono in noi mete ideali: come la gentilezza e la sensibilità, la intuizione e la grazia, la fantasia e l’immaginazione, la solidarietà e la speranza”. Per questo servono operatori con attitudini emozionali e culturali, con sensibilità aperte ad entrare in relazione con gli altri, e ad ascoltarne le voci sommesse e neglette del dolore.
In definitiva si ricava che nei servizi di salute mentale gli elementi essenziali per fondare un rapporto terapeutico sono: l’etica al servizio della professionalità, la relazione autentica con la persona e la comprensione della sua sofferenza.
Frase emblematica del libro è: “nel fare psichiatria non è possibile non integrare le conoscenze mediche generali con quelle che sono le conoscenze interiori: la conoscenza di se stessi, certo, ma anche quella delle emozioni e della interiorità, delle attese e delle speranze, delle nostre e delle persone che chiedano un aiuto, che non è mai solo di medicine, ma di parole e di silenzi, che aprano il cuore alla fiducia e alla speranza”.
Renato Frisanco, Fondazione Luigi Di Liegro
Il convegno, riflettendo sul tema della Salute mentale in età giovanile, si propone di mettere a fuoco e analizzare il complesso mondo delle dipendenze e la loro relazione con il disagio psichico.
La letteratura internazionale evidenzia che circa il 75% di tutti i disturbi mentali insorge prima dei 24 anni. In particolare l’OMS rivela che un adolescente su 5 oggi soffre di qualche disturbo mentale e tale tendenza è in crescita anche per gli anni a venire.
L’adolescenza e la prima giovinezza rappresentano la fase della vita nella quale viene generalmente collocato l’esordio o il primo episodio della maggior parte dei disturbi psichici.
Ai problemi tipici di questa fase di passaggio del ciclo evolutivo, che comporta una profonda trasformazione a livello biologico e neurobiologico, si aggiungono nella nostra società potenziali fattori di rischio connessi alle rapide trasformazioni tecnologiche e ai loro riflessi culturali e sociali, sia nelle comunità locali, sia a livello globale.
In particolar modo, il tema delle dipendenze da sostanze e dipendenze comportamentali patologiche nella loro complessità moderna, rappresentano oggi un’emergenza sociale che ci impone di informare e formare le famiglie, gli operatori sociosanitari, gli educatori, la cittadinanza tutta, soprattutto nella prospettiva della prevenzione del disagio.
I temi della prevenzione e della promozione della salute mentale costituiscono gli obiettivi centrali del gruppo di lavoro integrato nell’ambito di questo convegno, che viene organizzato con la collaborazione della Fondation d’Harcourt, dell’Associazione Osservatorio sulle dipendenze (ODDPSS), della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP) e le Facoltà di Scienze Sociali e di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana.
Il convegno rappresenta, quindi, un’importante opportunità per approfondire il tema della salute mentale in adolescenza, evidenziando alcune tra le problematiche oggi più diffuse tra i giovani. Inoltre, si propone di creare uno spazio di confronto utile a un ripensamento e a una riorganizzazione delle metodologie di intervento nella gestione del fenomeno che tenga conto dei diversi attori coinvolti e della sua complessità sociale e culturale, oltre che clinica.
La partecipazione al convegno è gratuita.
Per iscriversi:
Oppure
E.C.M. e Crediti formativi - Su richiesta, verrà rilasciato un attestato di frequenza. L’evento è accreditato da Duerre congressi SRL provider n.522 per n. 7 crediti ECM per tutte le professioni sanitarie (contributo volontario € 50). 7 crediti formativi per Assistenti Sociali (contributo volontario € 20). L'evento è, inoltre, accreditato dall'Ordine dei Giornalisti per n. 7 crediti (CFP).
La Fondazione ha predisposto una sintesi della Conferenza Nazionale per la Salute Mentale che si è svolta lo scorso 14-15 giugno presso la Facoltà di Economia dell'Università La Sapienza di Roma. L'evento nazionale è stato preparato da un percorso attraverso l'Italia delle Conferenze Regionali e da altri incontri locali; l'appello richiama a tre parole chiave che ne coagulano il significato: diritti, libertà, servizi.
Il testo ripercorre i contributi forniti dai vari relatori intervenuti, dà conto dei lavori maturati nelle sei sessioni tematiche e si chiude con il catalogo delle richieste-proposte emerse dalla Conferenza e rivolte alle istituzioni.
Scarica la relazione sulla Conferenza Nazionale per la Salute Mentale a cura di Renato Frisanco.