Nel laboratorio di pittura, Gino usa i colori con confidenza e senza risparmio, quasi esageratamente. Cospargendo anche il suo volto, le mani e le braccia, che utilizza come estensione del foglio di carta.
Anche il suo debutto nel laboratorio di teatro lascia stupiti. La scelta dei brani da interpretare durante le prove riflette la profondità del suo mondo interiore: interagisce con gli altri partecipanti e con i volontari, come se fossero colleghi di arte da sempre, e stabilisce da subito un particolare rapporto di fiducia con il regista.
Gino ha 38 anni. Due anni fa, gli operatori del Centro di Salute Mentale, che lo seguono nel suo percorso terapeutico-riabilitativo, gli consigliano di frequentare le attività organizzate dalla Fondazione Di Liegro.
Come detto, Gino dimostra subito una predisposizione naturale nell’utilizzare il linguaggio artistico. Attento, partecipa assiduamente a tutto quanto avviene. Il suo entusiasmo è incontenibile, contagioso, tanto da farlo divenire un catalizzatore del gruppo.
Gino è una persona affettuosa e le sue emozioni sono dirompenti: i baci e gli abbracci che dispensa quando ci si incontra rendono fisico e tangibile quello che prova.
Ma l’entusiasmo nello stare insieme ha come rovescio della medaglia un forte senso di solitudine. E quando G. si ritrova a casa da solo, il malumore e i cattivi pensieri rischiano di prendere il sopravvento.
La Fondazione Di Liegro è un luogo di relazioni e scambio per tutte le persone che la frequentano. Gli incontri settimanali per i laboratori, i corsi di formazione o i gruppi di auto mutuo aiuto sono appuntamenti fissi; e per alcuni partecipanti la Fondazione è diventata un punto di riferimento, uno dei pochi insieme al servizio sanitario e alla famiglia.
La sospensione delle attività in presenza, con la chiusura della sede durante la pandemia per il COVID-19, ha rappresentato per tutti un cambiamento importante: la mancanza di un luogo di incontro è stata forte.
Per qualcuno, più che per altri, l’interruzione degli incontri e l’impossibilità di incontrarsi di persona e salutarsi con un bacio e un abbraccio sono stati un evento imprevisto, che ha scosso un fragile equilibrio.
Questo è proprio ciò che è successo a Gino.
Gino, più degli altri colleghi di corso, ha risentito del lockdown e della mancanza di quei momenti, sviluppando acute manifestazioni di insofferenza e crisi depressive durante la pandemia. E se nei primi giorni il contatto telefonico ha permesso di contenere in qualche misura il suo disagio, con il prolungarsi della quarantena e dell’isolamento non è stato più sufficiente.
Gino. non ha più sopportato la sua angoscia e ha chiamato gli operatori della Fondazione dicendo che stava molto male e che temeva di non riuscire a farcela. Da questo momento. è stato prima ricoverato presso un servizio di emergenza e poi in una struttura residenziale.
La Fondazione durante il periodo di quarantena ha avuto il principale obiettivo di rimanere in contatto con la propria comunità di utenti, volontari e familiari e di garantire un servizio di ascolto e sostegno alla cittadinanza attraverso il Servizio di Orientamento e Supporto Sociale per la Salute Mentale SOSS.
Sin dai primi giorni di pandemia abbiamo stabilito degli appuntamenti telefonici per monitorare gli effetti che la situazione emergenziale e di isolamento imposto stava avendo sulle persone più fragili. La solitudine e la sospensione di una routine, come anche di una frequentazione più assidua dei servizi di salute mentale, è stato destabilizzante per gli utenti e i familiari in particolare.
L’utilizzo dei dispositivi digitali ci è stato di grande aiuto nel mantenere il contatto con partecipanti, familiari e volontari, poiché abbiamo quasi subito trasportato gli appuntamenti delle nostre attività sulle piattaforme digitali e la maggior parte delle persone, avendo uno smartphone o un pc, ha partecipato agli appuntamenti. Quando questo non è stato possibile, abbiamo mantenuto un contatto “analogico” attraverso chiamate telefoniche.
Gli incontri on line hanno dato la possibilità, anche se mediata da uno schermo, di vedersi e parlarsi e di continuare le attività dei laboratori.
Questo è ciò che è successo anche con G., con cui siamo riusciti a rimanere in contatto durante tutte le fasi del suo ricovero, sia in ospedale che nella struttura residenziale, riuscendo a coinvolgerlo nei nuovi appuntamenti digitali.
Questa nuova modalità ha rappresentato una sfida per tutti noi, una sfida che però è stata l’occasione per molti di sperimentarsi con qualcosa di nuovo, acquisendo una dimestichezza con questi mezzi e nuove competenze tecnologiche. Anche gli operatori e i volontari si sono reinventati, hanno utilizzato nuove forme per rimanere in contatto e supportare gli utenti anche a distanza.
Oggi Gino sta un po’ meglio. Ogni giorno si fa sentire per aggiornarci sul suo stato di salute e la domanda che conclude sempre la sue telefonate è: “Quando riprendono i laboratori? Mi mancano, mi mancate!”.
Per la Fondazione questi mesi di pandemia sono stati uno stimolo a far sentire che la comunità di cui facciamo parte continuava a essere presente accanto a loro e ci ha dimostrato che, a volte, un limite come gli incontri on line può trasformarsi in un’inaspettata opportunità.