Per Eugenio Borgna i disturbi psichici sono propri della condizione dell’uomo e nessuno è escluso, “ciascuno di noi può andare incontro alla sofferenza psichica indipendentemente dall’età, dalla cultura e dalla condizione sociale”. Questo fa sì che si guardi alle persone che vivono una situazione di sofferenza psichica, sia da parte dei servizi che dei cittadini, con un atteggiamento di comprensione e di solidarietà. Serve però un cambio di passo nel campo della salute mentale verso una “psichiatria gentile” e una opinione pubblica meno estranea al tema.
Il bel libro di Eugenio Borgna, pubblicato da Giulio Einaudi Editore (2019), tratteggia l’excursus storico della psichiatria fino a intravvedere, o meglio ad auspicare, quella del futuro, alla luce della sua esperienza di psichiatra che ha attraversato buona parte del Novecento.
L’autore parte dalla prima rivoluzione della psichiatria che all’inizio del secolo scorso ispirandosi ad una corrente filosofica ha proposto come oggetto della psichiatria non il cervello con le sue disfunzioni, ma la soggettività, l’interiorità dei pazienti, ovvero la persona e non la malattia. E’ l’approccio “fenomenologico” che però non è riuscito a contrastare l’egemonia della psichiatria “somatologica”. Questa, alla stregua di una scienza naturale, con le sue leggi e i suoi determinismi fonda l’approccio bio-medico e l’oggettivizzazione del malato ridotto ai suoi sintomi e isolato in appositi contenitori, i manicomi, che hanno l’ambiguo mandato di garantire la “cura” della follia insieme al controllo sociale.
L’autore è partecipe-protagonista anche della seconda rivoluzione, quella etica immaginata da Basaglia (che ispira la legge 180/1978), che a partire dall’approccio fenomenologico rende possibile quello che sembrava impossibile, il superamento dell’istituzione totale del manicomio e la liberazione del paziente perché senza libertà non vi è possibilità di cura. La psichiatria diventa scienza sociale, scienza umana e la persona sofferente viene presa in carico in un articolato sistema di servizi sul territorio. Tuttavia ancora oggi, a oltre 40 anni di distanza, la legge 180 risulta in parte incompiuta o tradita secondo due indicatori: l’orientamento alla separatezza e alla contenzione nel modello dei reparti ospedalieri di diagnosi e cura (SPDC) che non sempre garantisce condizioni di degenza rispettose dei diritti umani dei pazienti, e lo stesso vale per tante strutture residenziali, più contenitive che curative; l’applicazione del vertiginoso aumento dei disturbi che affollano i manuali diagnostici (vedi DSM), in linea con la tendenza culturale ad escludere la soggettività dai comportamenti e con essa la ricerca di significati che li connotano. Da qui poi l’orientamento ad una somministrazione di psicofarmaci che limita o esclude psicoterapia e inclusione sociale.
E la psichiatria del futuro? E’ una “psichiatria gentile”, dal volto umano dell’operatore che sa accogliere ed entrare in risonanza emotiva con la persona sofferente per instaurare un dialogo aperto che chiede tempo e che parte dall’ascolto attivo e comprensivo dove le parole e il linguaggio del corpo sono importanti come i silenzi. La parola chiave qui è “immedesimazione” che esalta l’approccio psico-relazionale che viene prima di ogni altra prestazione, compresa quella farmacologica, complementare e mai sostitutiva. Per l’operatore della salute mentale si tratta di incontrare autenticamente la persona sofferente nella sua umanità, di entrare nella sua storia e di cogliere il senso che si nasconde nella sofferenza psichica, lasciandosi interpellare da emozioni e parole che ne rispecchiano l’interiorità. La relazione psicoterapeutica è così un incontro tra due interiorità, il dialogo scaturisce dal profondo, dalla ricerca di sé nell’altro e dell’altro in sé. Per Borgna “senza la ricerca di ciò che ci unisce, nonostante ogni differenza (…) non si riesce ad aiutare chi sta male, e nemmeno si riesce a salvaguardare la nostra interiorità che tende a inaridirsi e a spegnersi”. E ancora “la psichiatria tradisce la sua ragione di essere umana se non ci sono in noi mete ideali: come la gentilezza e la sensibilità, la intuizione e la grazia, la fantasia e l’immaginazione, la solidarietà e la speranza”. Per questo servono operatori con attitudini emozionali e culturali, con sensibilità aperte ad entrare in relazione con gli altri, e ad ascoltarne le voci sommesse e neglette del dolore.
In definitiva si ricava che nei servizi di salute mentale gli elementi essenziali per fondare un rapporto terapeutico sono: l’etica al servizio della professionalità, la relazione autentica con la persona e la comprensione della sua sofferenza.
Frase emblematica del libro è: “nel fare psichiatria non è possibile non integrare le conoscenze mediche generali con quelle che sono le conoscenze interiori: la conoscenza di se stessi, certo, ma anche quella delle emozioni e della interiorità, delle attese e delle speranze, delle nostre e delle persone che chiedano un aiuto, che non è mai solo di medicine, ma di parole e di silenzi, che aprano il cuore alla fiducia e alla speranza”.
Renato Frisanco, Fondazione Luigi Di Liegro